Il sostegno a scuola

Nel Piano Educativo Individualizzato (PEI) sono indicate le ore di sostegno necessarie per l’alunno. Il Piano Educativo Individualizzato o Personalizzato (PEI), infatti, è il progetto  specifico per l’alunno con disabilità in età scolare e quindi comprende sia i criteri e gli interventi di carattere scolastico che quelli di socializzazione e di riabilitazione.

Il PEI è redatto dagli insegnanti, operatori sanitari e operatori sociali, con la collaborazione della famiglia

Vengono segnalati spesso casi di riduzione del numero di ore di sostegno anche in presenza di gravi disabilità e nonostante il PEI sia chiaro in termini di indicazione.

Nel caso di ritenga di aver sofferto un’illegittima riduzione delle ore di sostegno, l’unica cosa da fare rimane ricorrere all’autorità giudiziaria, per far valutare la correttezza del procedimento amministrativo e, quindi, l’eventuale sussistenza di lesione del diritto allo studio.

Nel caso di bimbi e ragazzi con patologie oncologiche (ancor più se in trattamento), è prevalente la richiesta di assistenza all’autonomia o l’assistenza igienica o formule di scuola a domicilio, mentre sono molto infrequenti esigenze di sostegno didattico (insegnante di sostegno).

L’assistenza personale a scuola

I bambini e i ragazzi con patologie oncologiche che frequentano la scuola possono avere necessita di assistenza personale (supporto all’autonomia o assitenza igienica e materiale). Anche queste necessità sono indicate nel Piano Educativo Individualizzato o Personalizzato (PEI) cioè il progetto  specifico per l’alunno con disabilità in età scolare e quindi comprende sia i criteri e gli interventi di carattere scolastico che quelli di socializzazione e di riabilitazione.

Il PEI è redatto dagli insegnanti, operatori sanitari e operatori sociali, con la collaborazione della famiglia

L’ASSISTENZA PER L’AUTONOMIA

L’assistenza per l’autonomia consiste nell’aiutare – per tutto o parte dell’orario scolastico – alunni con difficoltà all’uso delle mani o alunni minorati della vista nel prendere appunti, consultare il vocabolario durante le traduzioni, nell’attivazione e l’uso di computer eccetera. Ma tale forma di assistenza può riguardare anche, ad esempio, alunni paraplegici, tetraplegici o afasici, che necessitano quindi di una continua assistenza per gli atti più elementari che esulano dalla didattica.

Queste figure debbono essere fornite, secondo quanto stabilito dall’articolo 139 del decreto legislativo 112/1998, dai Comuni per la scuola dell’infanzia (asilo), primaria (elementari) e secondaria di primo grado (medie inferiori) e dalle Province  (dopo la loro soppressione dalle Regioni o dalle città metropolitane) per la scuola secondaria di secondo grado (medie superiori).

L’ASSISTENZA IGIENICA E MATERIALE

Il Ministero della Pubblica Istruzione in sede di rinnovo del CCNL del 24 luglio 2003, introdusse, d’intesa con i Sindacati, gli articoli 46 e 47 e la Tabella A allegata,

L’assistenza igienica e materiale rientra nelle competenze attribuite (dal relativo Contratto Collettivo Nazionale di lavoro) al profilo professionale» dei collaboratori scolastici.

Tali mansioni di distinguono fra attività di assistenza materiale, consistente nell’accompagnamento degli alunni con disabilità da fuori a dentro la scuola e nei locali della scuola, e attività di cura dell’igiene personale e di accompagnamento ai servizi igienici.

La prima tipologia di mansioni (l’attività di assistenza materiale) è comune a tutti i collaboratori e rientra nel loro ordinario mansionario. Quindi l’accompagnamento deve e può essere svolto da qualsiasi collaboratore scolastico.

La seconda tipologia (l’attività di cura dell’igiene personale e di accompagnamento ai servizi igienici) è particolare e richiede un corso di formazione di circa 40 ore, dando diritto anche ad un aumento di stipendio, a seguito del conferimento di incarico da parte del Dirigente scolastico.

Tuttavia, siccome lo stesso CCNL stabilisce che la formazione e l’aggiornamento sono «un diritto», ma non anche un dovere dei lavoratori della scuola, in molte realtà, specie nel Sud d’Italia, molti collaboratori scolastici si rifiutano di frequentare i corsi formativi e quindi di svolgere le mansioni di assistenza igienica.

Il Dirigente scolastico che deve rispondere del risultato della qualità del servizio scolastico, non può non agire di fronte all’eventuale rifiuto di tutti i collaboratori e collaboratrici scolastiche circa lo svolgimento dell’assistenza igienica agli alunni con disabilità. Ove ciò accadesse si esporrebbe al rischio di denuncia da parte delle famiglia per omissione di atti di ufficio e mancata assistenza a minori.

Per evitare queste situazioni il Dirigente dovrebbe convocare un’assemblea sindacale del personale ausiliario e, constatato il rifiuto di tutti a seguire i corsi di aggiornamento e svolgere tali mansioni, emanare ordini di servizio con i quali attribuire questi compiti ad almeno un collaboratore e una collaboratrice, per l’ovvio dovere di rispetto del genere degli alunni.

Il personale e i sindacati che non condividano tale posizione potranno pure ricorrere al Giudice del Lavoro che verosimilmente constaterà la legittimità del provvedimento e quindi convalidare eventuali provvedimenti disciplinari irrogati dal Dirigente scolastico.

LE SCUOLE PARITARIE

In forza della Legge 10 marzo 2000, n. 62, le scuole private o pubbliche (comunali) che ottengono la parità scolastica godono degli stessi diritti e sono tenute a rispettare gli stessi obblighi fondamentali delle scuole statali.

Debbono pertanto garantire l’assistenza igienica agli alunni con disabilità, col vantaggio che non sono tenute al rispetto delle graduatorie come le scuole statali e, quindi, il rapporto di impiego stipulato con i collaboratori e le collaboratrici scolastiche deve comprendere anche l’obbligo dell’assistenza igienica.

Tali scuole inoltre, in base alle leggi regionali sul diritto allo studio, possono chiedere e ottenere l’assegnazione di assistenti per l’autonomia e la comunicazione.

Infine, le scuole primarie paritarie che siano anche “parificate” hanno diritto ad ottenere dall’Ufficio Scolastico Regionale la nomina di docenti per il sostegno, pagati dall’Amministrazione Statale, secondo le necessità documentate dalle certificazioni e dalle diagnosi funzionali e dai PEI – i Piani Educativi Individualizzati – degli alunni con disabilità iscritti.

Le scuole paritarie degli altri ordini e gradi hanno invece diritto ad ottenere solo un piccolo contributo dall’Ufficio Scolastico Regionale, in base all’articolo 1, comma 15 della stessa Legge 62/2000, risultante dalla divisione del contributo assegnato dal Ministero, diviso per il numero degli alunni con disabilità di quella Regione.

COME RENDERE ESIGIBILI I DIRITTI

Le famiglie devono chiedere e poi accertarsi che nella certificazione o individuazione di handicap o nella diagnosi funzionale e nel PEI, sia chiaramente espressa la necessità di assistenza per l’autonomia o la comunicazione e/o l’assistenza igienica per l’alunno nel rispetto del suo genere maschile o femminile.

La famiglia deve quindi accertarsi che entro fine maggio dell’anno scolastico precedente quello di frequenza il Dirigente scolastico abbia inoltrato le richieste rispettivamente agli Enti Locali o all’Ufficio Scolastico Regionale, qualora, in quest’ultimo caso, non abbia collaboratori scolastici dei due sessi o essi non siano sufficienti per numero o invalidità a svolgere le funzioni assistenziali igieniche, previste dal CCNL nazionale.

Bisogna inoltre accertarsi che all’inizio dell’anno scolastico – vale a dire nel mese di settembre – il personale richiesto sia già presente nella scuola. In caso negativo, si deve invitare formalmente il Dirigente scolastico a provvedere ad un sollecito, preannunciando, nei casi più gravi, denunce per omissione di atti di ufficio (in caso di inerzia precedente o attuale del Dirigente scolastico).

In caso poi di ulteriore inerzia, bisogna rivolgersi dapprima al Difensore civico comunale o, in mancanza, a quello provinciale o regionale, denunciando il caso e la violazione della normativa prodottasi.

Infine, ci si può rivolgere a un avvocato perché agisca davanti al Tribunale Civile, per ottenere, anche in via di urgenza, l’assegnazione del personale necessario.

Le ormai numerose esperienze di questi anni hanno sempre dato esito favorevole alle persone con disabilità e senza attendere tempi lunghi.

I farmaci a scuola

Gli alunni, durante le ore di frequenza, possono avere necessità di supporto nell’assunzione di farmaci legati a particolari patologie. In alcuni casi, se tale assistenza non è garantita, può essere compromesso il diritto allo studio.

I genitori o, in mancanza, l’amministratore di sostegno o il tutore devono presentare all’atto dell’iscrizione la richiesta di somministrazione di farmaci o di imboccamento alla quale allegare la prescrizione del medico curante da cui risulti in modo inequivocabile che la prestazione non necessita di intervento di personale medico o paramedico e non richiede valutazioni discrezionali del somministratore. Da tale  prescrizione debbono risultare le modalità di svolgimento del compito. Inoltre, la persona prescelta può essere avviata dal Dirigente all’ASL per un breve corso di formazione, qualora le indicazioni fornite dai genitori non la soddisfino. Nel caso poi che nessun volontario sia disponibile, riteniamo che il Dirigente Scolastico dovrebbe nominare un responsabile per la sicurezza della salute nella scuola con tale compito.

Se invece sono richiesti interventi di carattere professionale sanitario, il Dirigente scolastico – eventualmente anche d’intesa con la famiglia – deve chiedere all’ASL la presenza di un infermiere a scuola nelle ore stabilite per la somministrazione del farmaco o al Comune, per l’imboccamento, la presenza a scuola di un assistente per l’autonomia (ai sensi dell’articolo 13, comma 3 della Legge 104/1992).

E ancora, nei casi in cui l’ASL o il Comune preferiscano avvalersi di enti non profit convenzionati, sarà cura del Dirigente concordare con ASL o Comune e gli stessi enti convenzionati i tempi e i modi per lo svolgimento di tali compiti.

Qualora poi la persona prescelta abbia delle preoccupazioni per eventuali sue responsabilità risarcitorie, sarà cura della famiglia scrivere nell’istanza una liberatoria in tal senso e il Dirigente Scolastico potrà anche provvedere a stipulare una polizza assicurativa.

Se infine il Dirigente non intende dare esecuzione alla richiesta della famiglia, quest’ultima potrà rivolgersi all’Ufficio Scolastico Provinciale perché venga rispettata la direttiva ministeriale del 25 novembre 2005.

Qualora poi la persona prescelta abbia delle preoccupazioni per eventuali sue responsabilità risarcitorie, sarà cura della famiglia scrivere nell’istanza una liberatoria in tal senso e il Dirigente Scolastico potrà anche provvedere a stipulare una polizza assicurativa.
Se infine il Dirigente non intende dare esecuzione alla richiesta della famiglia, quest’ultima potrà rivolgersi all’Ufficio Scolastico Provinciale perché venga rispettata la direttiva ministeriale del 25 novembre 2005.

I diritti del malato

Il diritto alla salute è un diritto umano fondamentale sancito dalla Costituzione e da molti atti di rilevanza internazionale. Un buona sintesi di questi atti è rappresentata dalla Carta Europea dei diritti del malato che, anche per la modalità espositiva, contribuisce sia alla consapevolezza dei diritti di ognuno, sia ad orientare la deontologia degli operatori sanitari.

Tentiamo allora di riproporre gli elementi essenziali – che hanno ricadute pratiche assai concrete –  anche per chi è affetto da patologie oncologiche e per i suoi familiari.

Diritto a misure preventive: ogni individuo ha diritto a servizi appropriati per prevenire la malattia.

Diritto all’accesso: ogni individuo ha il diritto di accedere ai servizi sanitari che il suo stato di salute richiede. I servizi sanitari devono garantire eguale accesso a ognuno, senza discriminazioni sulla base delle risorse finanziarie, del luogo di residenza, del tipo di malattia o del momento di accesso al servizio.

Diritto all’informazione: ogni individuo ha il diritto di accedere a tutte le informazioni che riguardano il suo stato di salute, i servizi sanitari e il modo in cui utilizzarli, nonché a tutte quelle informazioni che la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica rendono disponibili.

Diritto al consenso: ogni individuo ha il diritto di accedere a tutte le informazioni che possono metterlo in grado di partecipare attivamente alle decisioni che riguardano la sua salute. Queste informazioni sono un prerequisito per ogni procedura e trattamento, ivi compresa la partecipazione alle sperimentazioni.

Diritto alla libera scelta: ogni individuo ha il diritto di scegliere liberamente tra differenti procedure ed erogatori di trattamenti sanitari sulla base di informazioni adeguate.

Diritto alla privacy e alla confidenzialità: ogni individuo ha il diritto alla confidenzialità delle informazioni di carattere personale, incluse quelle che riguardano il suo stato di salute e le possibili procedure diagnostiche o terapeutiche, così come ha diritto alla protezione della sua privacy durante l’attuazione di esami diagnostici, visite specialistiche e trattamenti medico chirurgici in generale.

Diritto al rispetto del tempo dei pazienti: ogni individuo ha diritto a ricevere i necessari trattamenti sanitari in tempi brevi e predeterminati. Questo diritto si applica a ogni fase del trattamento.

Diritto al rispetto di standard di qualità: Ogni individuo ha il diritto di accedere a servizi sanitari di alta qualità, sulla base della definizione e del rispetto di standard ben precisi.

Diritto alla sicurezza: Ogni individuo ha il diritto di non subire danni derivanti dal cattivo funzionamento dei servizi sanitari o da errori medici e ha il diritto di accedere a servizi e trattamenti sanitari che garantiscano elevati standard di sicurezza.

Diritto all’innovazione: Ogni individuo ha il diritto di accedere a procedure innovative, incluse quelle diagnostiche, in linea con gli standard internazionali e indipendentemente da considerazioni economiche o finanziarie.

Diritto a evitare le sofferenze e il dolore non necessari: Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia.

Diritto a un trattamento personalizzato: ogni individuo ha il diritto a programmi diagnostici o terapeutici il più possibile adatti alle sue esigenze personali.

Diritto al reclamo: ogni individuo ha il diritto di reclamare ogni qualvolta abbia subito un danno e di ricevere una risposta.

Diritto al risarcimento: ogni individuo ha il diritto di ricevere un risarcimento adeguato, in tempi ragionevolmente brevi, ogni qualvolta abbia subito un danno fisico, morale o psicologico causato dai servizi sanitari.

 

 

L’esenzione del ticket

Le patologie oncoematologiche hanno un inquadramento normativo sovrapponibile alle patologie neoplastiche.

Ciò comporta, in ambito sanitario, la concessione delle medesime esenzioni previste per i Soggetti affetti da patologie neoplastiche maligne e da tumori di comportamento incerto”. Il codice relativo è lo 048.

L’attribuzione del codice di esenzione 048 dà diritto a usufruire, senza partecipare alla spesa, delle prestazioni farmaceutiche di tutte le prestazioni di specialistica ambulatoriale inserite nei livelli essenziali di assistenza (LEA) appropriate per la patologia e le sue complicanze, nonché per la riabilitazione e la prevenzione degli ulteriori aggravamenti.

L’esenzione si ottiene rivolgendosi alla propria ASL presentando la certificazione rilasciata da un medico specialista che attesti la patologia.

Il codice di esenzione è inserito nella tessera sanitaria e riportato dal medico nelle relative prescrizioni per farmaci o visite specialistiche.

Il codice di esenzione 048 può essere concesso per un tempo limitato (cinque, dieci anni) oppure illimitato. Nel caso l’esenzione sia limitata, alla scadenza va ripresentata la domanda con la relativa certificazione.

Esistono anche ulteriori forme e codici di esenzione riservate agli invalidi civili e calibrate a seconda del grado di invalidità riconosciuta.

L’assistenza sanitaria fuori sede

Può accadere che, per i motivi più disparati, una persona viva temporaneamente in un luogo diverso da cui ha la sua residenza: per lavoro, studio, motivi familiari o sanitari ecc.

In questi casi, secondo il principio della continuità assistenziale, la persone può richiedere il domicilio sanitario presso la ASL in cui si trova ricevendo quindi l’assistenza sanitaria di cui ha necessità. SI può richiedere il domicilio sanitario per un lasso di tempo non inferiore a 3 mesi e non superiore a 12 mesi che può essere tuttavia rinnovato.

Possono richiedere il domicilio sanitario tutti i cittadini già iscritti al Servizio Sanitario presso la propria ASL. Chi intende richiedere il domicilio sanitario deve prima disdire il proprio medico di famiglia che sarà indicato nella ASL di destinazione provvisoria.

La richiesta di domicilio sanitario va rivolta agli uffici preposti della ASL di dimora provvisoria. Solitamente alla domanda va allegata copia della propria tessera sanitaria e di un documento di riconoscimento oltre a documentazione a supporto del trasferimento provvisorio (esempio certificato di iscrizione all’università, dichiarazione del datore di lavoro ecc.).

Un altro aspetto importante è quello delle visite e dei ricoveri presso strutture fuori regione. In linea generale la normativa vigente tende a privilegiare percorsi diagnostici e d cura presso la regione di residenza. Le Regioni disciplinano però la materia salvaguardando, pur con modalità differenti, il ricorso a cure appropriate e specialistiche anche fuori regione quando vi sia carenza di strutture adatte alla cura di determinate patologie.

In linea generale questi interventi sanitari possono essere richiesti quando si è in grado di dimostrare che le cure devono necessariamente effettuarsi fuori dal territorio regionale ed in una struttura specializzata; è solitamente necessaria preventiva autorizzazione della competente ASL e se previsto dall’ordinamento regionale di residenza.

L’ISEE

La presentazione dell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) viene richiesta per l’accesso a prestazioni sociali agevolate cioè servizi o aiuti economici rivolti a situazioni di bisogno o necessità.

Solo a titolo di esempio: dalle prestazioni ai non autosufficienti ai servizi per la prima infanzia, dalle agevolazioni economiche sulle tasse universitarie a quelle per le rette di ricovero in strutture assistenziali, alle eventuali agevolazioni su tributi locali, all’accesso agli asili nido.

L’ISEE dal 2015 è stato oggetto di una nuova regolamentazione che modifica alcuni criteri e, soprattutto, intensifica i controlli preventivi e a campione e ne affida la gestione all’INPS.

COME SI CALCOLA L’ISEE

L’Indicatore tenta di considerare la disponibilità economica del nucleo familiare soppesando reddito, patrimonio e l’effettiva composizione del nucleo stesso.

Gli elementi che compongono l’Indicatore sono:

  • l’Indicatore della Situazione Reddituale che conta tutti gli introiti (redditi, rendite, pensioni) del nucleo familiare, prevedendo alcune franchigie e detrazioni per situazioni particolari;
  • l’Indicatore della Situazione Patrimoniale che considera il 20% del patrimonio mobiliare (titoli, conti correnti, depositi ecc.) e immobiliare (terreni, abitazioni, edifici ecc.), prevedendo alcune franchigie per la casa di abitazione e per una parte del risparmio familiare.

La somma dei due indicatori viene divisa per una scala di equivalenza che è diversa a seconda della numerosità del nucleo familiare (es. 1 componente, parametro 1,00; 2 componenti, 1,57; 3 componenti, 2,04 ecc.) e della sua composizione (esempio nuclei monogenitoriali, minori ecc.).

Anche la presenza di una persona con disabilità nel nucleo incide nel calcolo finale dell’ISEE, poiché, a seconda della gravità della disabilità, sono previste delle franchigie (che variano da 3500 euro a 9500 euro) e la possibilità di detrarre le eventuali spese sanitarie.

Le formule di calcolo dell’ISEE sono diverse a seconda del tipo di prestazione sociale agevolata: l’ISEE ordinario è riferito alla generalità delle prestazioni e comprende tutto il nucleo; l’ISEE socio-sanitario è il riferimento quando si chiedono prestazioni di natura socio-sanitaria non residenziale e può essere riferito al solo richiedente e al coniuge; l’ISEE per prestazioni residenziali ha un’ulteriore modalità di calcolo che può comprendere anche familiari che non fanno effettivamente parte del nucleo; l’ISEE universitario viene richiesto per l’accesso alle agevolazioni sulle tasse universitarie.

COME SI RICHIEDE

La richiesta della certificazione dell’ISEE, va inoltrata all’INPS compilando i moduli DSU diversi a seconda della prestazione richiesta o della composizione del nucleo.

I moduli DSU per la richiesta dell’ISEE vanno presentati per via telematica accedendo ai servizi online dell’INPS usando l’apposito PIN (numero identificativo personale). In alternativa ci si può rivolgere ad un patronato sindacale o ad un Caf.

I moduli in sé non sono particolarmente complessi. Gran parte delle informazioni sono generate poi da INPS. INPS infatti, per elaborare l’ISEE, estrae i dati dal proprio casellario (pensioni, dipendenti, autonomi) e da quello dell’Agenzia delle entrate (dichiarazioni dei redditi).

In questo modo il richiedente non deve, ad esempio, indicare l’ammontare di pensioni, ché risultano già dal casellario INPS, né spese sanitarie rilevate nella banca dati dell’Agenzia delle entrate come pure l’assunzione di una badante. INPS ha tempo 10 giorni lavorativi per rilasciare l’ISEE completo degli elementi che ne hanno determinato il calcolo.

Nel caso il richiedente rilevasse dati errati può, entro dieci giorni dal ricevimento dell’attestazione ISEE, con un ulteriore modulo richiederne la correzione o la rettifica.

Dopo ulteriori verifiche INPS rilascia l’attestazione definitiva. Nel caso di discordanze fra quanto dichiarato dal Cittadino e quanto risultante dagli archivi e casellari, la Guardia di finanza viene incaricata di ulteriori accertamenti.

A COSA DÀ DIRITTO L’ISEE

Gli enti che erogano prestazioni sociali agevolate (ad esempio Comuni e Regioni) possono fissare dei limiti reddituali o delle soglie. Assumono a riferimento la modalità di calcolo ISEE ma possono differenziare le soglie e i limiti.

Il loro superamento può comportare, a seconda della prestazione o del beneficio:

  • l’esclusione dall’accesso all’agevolazione o al beneficio;
  • la partecipazione alla spesa diversificata o meno a seconda del livello ISEE.

I sostegni economici

Il sistema di protezione sociale, oltre alle provvidenze riservate agli invalidi civili, prevede anche altre forme di sostegno economico che però hanno una rilevanza e una variabilità regionale.

Ancora una volta, quindi, è necessario rivolgersi innanzitutto ai servizi sociali del proprio Comune per ottenere un primo orientamento, per comprendere quali sono i sostegni previsti nella propria Regione e quali sono le condizioni previste.

Vediamo in sintesi quali sono le forme di trasferimento economici più frequenti con particolare attenzione per il sostegno della domiciliarità e dell’autonomia personale delle persone non autosufficienti o disabili secondo l’area di appartenenza degli utenti.

  • I voucher, sono provvidenze economiche, spesso erogate in forma di buoni con n controvalore, a favore di persone non autosufficienti e disabili, solitamente limitate alla condizione in cui le prestazioni siano erogate da “caregiver” professionali.
  • Gli assegni di cura, sono erogazioni economiche vere e proprie erogate da alcune regioni e finalizzate a garantire a persone non autosufficienti e a disabili gravi o gravissimi, la permanenza nel nucleo familiare o nell’ambiente di appartenenza, evitando il ricovero in strutture residenziali. L’importo è variabile e talvolta graduato a seconda del carico assistenziale.
  • I buoni socio-sanitari sono una forma di trasferimento economico adottata da alcune Regioni come sostegno economico a favore di persone in difficoltà erogato anche nel caso in cui l’assistenza sia prestata da un “caregiver” familiare; sono spesso connessi alla non autosufficienza.
  • I contributi per progetti sono una formula di trasferimento economico che prevede una rendicontazione sulla base di uno specifico progetto concordato con i servizi sociali. La forma più nota è quella relativa ai progetti per la vita indipendente (legge 162/1998) che molte Regioni hanno attivato pur per un numero limitato di casi.
  • I sostegni per i caregiver familiari sono forme di supporto con una elevata variabilità territoriale. Sono stati previsti in forma diversa (o non ancora previsti) in alcune regioni e ancora in modo non consolidato. Solo nel 2022 i contributi hanno assunto una maggiore diffusione grazie alla distribuzione alle Regioni di un fondo nazionale. A livello locale quindi vi sono stati avvisi e bandi specifici. Presumibilmente in prospettiva questa opportunità verrà ampliata.
    Solitamente i contributo o bonus consistono in un trasferimento monetario a fronte di una comprovata assistenza continuativa ad un familiare non autosufficiente o con grave disabilità. Vi si aggiungono poi dei criteri di natura economica (ISEE) che limitano ulteriormente la platea dei beneficiari. Per sapere se nel proprio territorio sono disponibili questi contributi è necessario rivolgersi ai servizi sociali del proprio comune.

I servizi alla persona e alla famiglia

Il sistema di protezione sociale italiano, oltre alle prestazioni previdenziali riconosciute ai lavoratori, prevede interventi assistenziali rivolti ai cittadini che si trovino in particolari situazioni di fragilità, di bisogno, di maggiore esposizione alla marginalità.

Alcuni interventi assistenziali sono ancora mantenuti direttamente dallo Stato come, ad esempio, le pensioni e le indennità per gli invalidi civili, la pensione sociale e altre forme di sostegno al reddito.

La gran parte degli interventi sono invece ormai di competenza regionale e consistono in una ampia gamma di servizi, sostegni, trasferimenti monetari. La generale disciplina regionale è poi attuata dai Comuni (singoli e associali) attraverso i propri servizi sociali.

È infatti il servizio sociale del proprio Comune il primo referente del Cittadino. Alcuni servizi, in particolare di natura socio-sanitaria, sono delegati spesso alle Aziende Usl.

Le politiche sociali, e quindi i servizi, sono molto diverse a seconda delle Regioni. Di conseguenza è sempre necessario, quando ci si trovi in situazione di necessità o bisogno, rivolgersi innanzitutto al servizio sociale del proprio Comune per un primo orientamento sui servizi che è possibile ottenere nel proprio territorio di riferimento.

Vediamo, in modo sintetico, quali possono essere le principali prestazioni offerte dal servizio sociale, tenendo presente l’alta variabilità territoriale e una sostanziale differenza di risposte a seconda anche dell’età (minori, età adulta, anziani) degli assistiti.

SEGRETARIATO SOCIALE

È generalmente un servizio di informazione rivolto a tutti i cittadini, fornisce notizie sulle risorse locali e sulle prassi per accedervi, in modo da offrire un aiuto per la corretta utilizzazione dei servizi sociali. Può assumere, in alcuni casi, la connotazione di sportello sociale tematico garantendo attività di consulenza e orientamento per specifici target e aree di interventi sociali compresa la tutela legale.

ASSISTENZA A DOMICILIO

Assume forme diverse e molto spesso prevede una partecipazione alla spesa da parte degli interessati. È volta a supportare la persona e la sua famiglia presso il proprio domicilio. L’assistenza domiciliare socio-assistenziale è un servizio rivolto a persone con ridotta autonomia, o a rischio di emarginazione, che richiedono interventi di cura e di igiene della persona, di aiuto nella gestione della propria abitazione, di sostegno psicologico, di assistenza sociale e/o educativa a domicilio. Al contrario, nell’assistenza domiciliare integrata con servizi sanitari vengono garantite sia prestazioni socio-assistenziali che sanitarie (cure mediche o specialistiche, infermieristiche, riabilitative) rivolte a  persone non autosufficienti o di recente dimissione ospedaliera, per evitare ricoveri impropri e mantenere la persona nel suo ambiente di vita.

RESIDENZIALITÀ

I Comuni, assieme alle ASL, sono per il Cittadino il primo riferimento nell’ipotesi in cui egli intenda lasciare il proprio domicilio e scegliere un ricovero in una struttura residenziale. Le strutture possono essere molto diverse a seconda delle caratteristiche dell’assistenza fornita la cui componente sanitaria può essere assente (strutture di tipo socio-assistenziale, comunità alloggio ecc.) o più o meno rilevante (ad esempio residenze sanitarie assistenziali, hospice ecc). Questa differenziazione comporta ricadute anche sulla compartecipazione alla spesa da parte dell’utente, del Comune e del Servizio Sanitario Nazionale.

SOSTEGNI ECONOMICI

Il servizio sociale del proprio Comune è generalmente anche il primo referente per attivare, laddove previsti, sostegni diretti o indiretti, di natura economica. Anche in questo caso c’è una alta variabilità con una gamma che va dal sostegno al pagamento di rette per servizi diurni, semiresidenziali, residenziali, al sostegno alla domiciliarità, ai contributi economici per cure o prestazioni sanitarie, o per il trasporto e la mobilità, per l’accoglienza di minori, adulti e anziani ecc.

VEDI ANCHE

I sostegni economici 

La scelta della sede

Coniugare le esigenze familiari con quelle lavorative è un’impresa difficile per tutti, ma lo è ancora di più per i lavoratori che assistono familiari disabili e per gli stessi lavoratori disabili. In queste difficoltà gioca un ruolo fondamentale la sede di lavoro: la scelta della sede di lavoro, la richiesta di trasferimento, il rifiuto al trasferimento. Di tali aspetti si occupano gli articoli 21 e 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104.

LA SCELTA DELLA SEDE

I commi 5 e 6 dell’articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile hanno diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.

Questa disposizione, proprio a causa di quel “ove possibile”, si configura come un interesse legittimo, ma non come un diritto soggettivo insindacabile.

Di fatto, quindi, l’azienda può opporre rifiuto motivandolo con ragioni di organizzazione del lavoro.

Le condizioni per accedere a questo beneficio sono comunque legate, per i familiari, all’effettiva del congiunto con disabilità. Anche per questo beneficio, come per i permessi lavorativi , non è richiesta la convivenza.

L’interpretazione ormai prevalente e consolidata è che l’agevolazione riguardi le persone con handicap con connotazione di gravità, beneficiarie di tutte le agevolazioni previste dall’articolo 33 della Legge 104/1992. Questa annotazione è necessaria in quanto il comma 5 non indica esplicitamente la gravità dell’handicap.

Una disposizione particolare (articolo 21) riguarda le persone handicappate “con un grado di invalidità superiore ai due terzi”.

Nel caso vengano assunti presso gli enti pubblici come vincitori di concorso o ad altro titolo, hanno diritto di scelta prioritaria tra le diverse sedi disponibili.

IL RIFIUTO AL TRASFERIMENTO

I commi 5 e 6 dell’articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile non possono essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede. Diversamente da quanto previsto per la scelta della sede, il rifiuto al trasferimento si configura come un vero e proprio diritto soggettivo.

Si tratta infatti di una disposizione che rafforza ed estende quanto già previsto dal Codice Civile. All’articolo 2103 prevede, fra l’altro, che il lavoratore non possa essere trasferito da un’unità produttiva all’altra senza comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Il comma 5 dell’articolo 33 aggiunge a questa condizione, oltre alle ragioni appena illustrate, anche il consenso da parte dell’interessato. In caso di violazione si può ricorrere al Giudice con fortissime probabilità che l’azienda soccomba in giudizio.

Il lavoro notturno

Lo svolgimento del lavoro notturno può rappresentare un sovraccarico per i familiari che assistono un familiare con una grave disabilità.

Nell’ambito delle norme che regolano lo svolgimento del lavoro notturno, già dal 1977 era prevista una esenzione per le lavoratrici in stato di gravidanza, le quali, già allora, non potevano venire impiegate nel lavoro notturno.

Successivamente (articolo 17, Legge 5 febbraio 1999, n. 25) sono state introdotte ulteriori tutela a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori che debbano assistere figli o familiari con disabilità.

CHI HA DIRITTO ALL’ESENZIONE?

Queste disposizioni indicano con chiarezza quali sono i lavoratori che non possono obbligatoriamente essere adibiti al lavoro notturno.

La prima categoria sono le lavoratrici madri di un figlio di età inferiore a tre anni o, alternativamente, i padri conviventi con le stesse.

La seconda categoria è quella della lavoratrice o del lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni.

Ma la normativa vigente prevede anche una terza categoria che non può essere obbligatoriamente adibita al lavoro notturno. Si tratta dei lavoratori che “abbiano a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della Legge 5 febbraio 1992, n. 104”.

Il Ministero del lavoro (Risoluzione n. 4 del 6 febbraio 2009) ha precisato cosa si intenda per “a carico”. E cioè che “tale assistenza non debba essere necessariamente quotidiana, purché assuma i caratteri della sistematicità e dell’adeguatezza rispetto alle concrete esigenze della persona con disabilità in situazione di gravità.”

COME FARE?

I lavoratori che possano dimostrare di assistere una persona con handicap (certificato ai sensi delle Legge 104/1992) possono richiedere e ottenere l’esonero dai turni notturni facendone espressa richiesta alla propria azienda.

Le agevolazioni per i familiari

I PERMESSI MENSILI

Non solo i lavoratori con grave disabilità ma anche i familiari di primo e secondo grado (eccezionalmente di terzo) che assistono una persona con handicap grave (legge 104/1992) hanno diritto ai permessi lavorativi di tre giorni mensili.

Anche in questo caso la condizione fondamentale è che la persona da assistere sia in possesso del certificato di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3 della legge 104/1992). Non è sufficiente la eventuale certificazione di invalidità civile anche totale.

I permessi sono retribuiti e coperti da contributi figurativi cioè validi ai fini pensionistici.

I permessi sono concessi al coniuge, ai parenti ed affini fino al secondo grado ed eccezionalmente, entro il terzo grado. I permessi sono concessi anche alle coppie di fatto (registrate all’anagrafe) e alle parti delle unioni civili.

La domanda di concessione dei permessi va rivolta all’azienda (o amministrazione) e all’INPS usando specifici moduli e allegando il verbale di handicap grave (art. 3 comma 3, legge 104/1992). I moduli si possono reperire presso qualsiasi Patronato sindacale oppure online sul sito dell’INPS o, per i dipendenti pubblici, presso l’amministrazione stessa.

Una volta concessi, l’articolazione dei permessi va concordata con l’azienda o con l’amministrazione.

Recenti disposizioni hanno ammesso che i tre giorni di permesso possano essere suddivisi fra congiunti che ne abbiano diritto, sempre nel limite dei tre giorni mensili.

I tre giorni di permesso possono, se l’azienda è d’accordo, essere anche frazionati in ore. Con formule diverse i permessi spettano anche in caso di contratto a part-time.

In linea generale i permessi non sono concessi se la persona da assistere è ricoverata in istituto o in RSA. Per i ricoveri ospedalieri i permessi possono essere concessi se il reparto di ricovero rilascia una dichiarazione che è necessaria l’assistenza dei familiari.

I permessi purtroppo non sono concessi ai lavoratori autonomi.

I CONGEDI BIENNALI

I familiari conviventi (coniuge, genitori, figli, fratelli/sorelle ed eccezionalmente parenti fino al terzo grado) della persona con certificazione di handicap grave (legge 104/1992), hanno diritto, oltre ai permessi, anche ad un congedo retribuito fino a due anni, anche frazionabile. (decreto legislativo 151/2001, articolo 42). Il congedo è  concesso anche alle coppie di fatto (registrate all’anagrafe) e alle parti delle unioni civili. Attenzione: il diritto ai congedi viene concesso in ordine di priorità: prima al coniuge, e solo se questo sono è assente o impedito per ragioni di salute, passa ai genitori. Se anche questi sono assenti o impediti, la concessione può passare ai figli e così via.

Questo congedo non spetta invece al diretto interessato cioè alla persona con disabilità che lavora.

La domanda segue la stessa procedura prevista per i permessi mensili, quindi la domanda va presentata all’INPS e al datore di lavoro (indicando il periodo nel quale si intende fruire del congedo), nel caso dipendenti privati. I dipendenti pubblici presentano la domanda alla propria amministrazione.

Il congedo è retribuito (indennità) e coperto da contributi figurativi. Anche i congedi non sono concessi ai lavoratori autonomi.

I CONGEDI PER ASSISTERE I BAMBINI

Oltre alle agevolazioni di cui abbiamo appena scritto vanno considerati anche i congedi parentali.

Fino ai 12 anni (quindi anche prima dei tre anni) è poi possibile richiedere il congedo parentale. Il congedo parentale è stato oggetto di recente di modificazioni normative. Spetta ai lavoratori dipendenti e – pur con condizioni più restrittive – ai lavoratori autonomi iscritti alle gestione separata di INPS.

Per i dipendenti, a prescindere dalla disabilità del figlio, la durata del congedo massima teorica è di 11 mesi. Ma vi sono delle condizioni.

La madre può fruire di massimo 6 mesi di congedo per ogni figlio entro i primi dodici anni di vita o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento.

Anche il padre può fruire di massimo altri 6 mesi (elevabili a 7 mesi nel caso in cui si astenga per un periodo intero o frazionato non inferiore a 3 mesi).

La somma massima però è di 10 mesi di congedo (che salgono a 11 mesi nel caso in cui il padre si astenga per un periodo intero o frazionato non inferiore a 3 mesi) per ogni figlio. Nel caso di genitore solo, il congedo è di 11 mesi.

Il punto delicato è quello dell’indennità che si percepisce al posto dello stipendio.

L’indennità è pari al 30 per cento della retribuzione ed è riconosciuta per tre mesi di congedo per ciascun genitore e tale diritto non è trasferibile all’altro genitore; per un ulteriore periodo di tre mesi l’indennità è riconosciuta ad un solo genitore. La durata dell’indennità sale a nove mesi, qualora vi sia un genitore solo.

Nei mesi ulteriori l’indennità al 30% viene riconosciuta solo se il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.

Questa modalità vale per tutti i genitori, ma nel caso di disabilità grave del figlio c’è un’ulteriore beneficio: il prolungamento del congedo parentale fino a tre anni di durata, e fino al compimento dei 12 anni di età. In questi casi (minori con disabilità) in tutto quel periodo spetta una indennità del 30% della retribuzione (inclusi il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati al dipendente).