Disagi e necessità dei pazienti nella pandemia: lavoro, relazioni con il medico specialista, contatto con il caregiver.

Mario Tarricone è il Referente Gruppo AIL Pazienti Linfomi e Presidente AIL SALENTO ODV. In questa intervista ci spiega quali sono stati i disagi più importanti incontrati dai pazienti nella pandemia: dal lavoro, all’accesso alle prestazioni e alle strutture di cura, i trasporti, le relazioni con il medico specialista, la continuità del contatto e dell’assistenza del proprio caregiver.

 

Come nasce l’idea di questa indagine?

Nel periodo inziale della pandemia e delle conseguenti decisioni del governo italiano di attuare misure molto restrittive di distanziamento sociale, molti pazienti con cui abbiamo contatti come Gruppi Pazienti AIL, si sono messi in contatto con noi. Abbiamo registrato sensazioni di isolamento, difficoltà nel rivolgersi ai medici dei centri di cura, disagio per le lunghe attese in aree esterne nei centri di cura, difficoltà per i familiari/assistenti (caregiver) a mantenere il contatto con i pazienti negli ospedali, cui non possono accedere e tempi di permanenza nelle strutture abbastanza lunghi.

È stato naturale cercare di definire in termini dimensionali e qualitativi l’impatto della pandemia sulla quotidianità della vita dei pazienti, attraverso la consultazione di un campione rappresentativo.

Quali sono i maggiori disagi che i pazienti hanno dovuto affrontare e affrontano in questa pandemia?

I risultati dell’indagine hanno sostanzialmente confermato quella che era una percezione “epidermica” del disagio affrontato dai pazienti per come da essi stessi raccontato. Il disagio ha riguardato diverse dimensioni della quotidianità dei pazienti e dei familiari: il lavoro, l’accesso alle prestazioni, l’accesso alle strutture di cura, i trasporti, le relazioni con il medico specialista, la continuità del contatto e dell’assistenza del proprio caregiver.

Oltre il 40% dei pazienti ha dichiarato di non aver avuto contatti con il proprio medico di base. Non è un dato allarmante, ma fa riflettere, nel senso che proprio nei momenti di crisi e di maggiore insicurezza il contatto con il terminale più prossimo del servizio assistenziale dovrebbe essere presente e attivo per evitare di accrescere la sensazione di isolamento dei pazienti che già vivono situazioni specifiche di fragilità cliniche e psicologiche.

Il 58,6% dei pazienti ha dovuto sospendere l’attività lavorativa, vale a dire la testimonianza di un ruolo sociale attivo. Il 58,8 % dei pazienti in terapia attiva hanno dichiarato di non aver subito variazioni nel proprio percorso diagnostico-terapeutico, mentre 4 persone su 10 circa hanno visto rinvii o riprogrammazione delle prestazioni come le somministrazioni di terapia o gli accertamenti diagnostici. Quest’ultimo non è stato un disagio trascurabile se assommato alla difficoltà di poter avere facilmente un contatto con il centro di cura. La difficoltà di comunicazione con il centro di cura ha rappresentato, peraltro, un disagio “grave” per il 10 % dei pazienti intervistati.

È importante anche il disagio che i pazienti hanno sopportato a causa dell’impossibilità di poter contare sulla vicinanza del caregiver, anche nel dialogo con i medici. In particolare il 10% dei pazienti in corso di terapia hanno considerato “grave” questa assenza. Fatto molto comprensibile se si pensa che spesso, subito dopo le terapie, i pazienti non hanno la voglia, talvolta la lucidità di ascoltare il medico ma hanno solo voglia di tornare a casa. Spesso è il caregiver che si trasforma in una sorta di “paziente fiduciario” e interagisce con il medico recependo congiuntamente al paziente le indicazioni e le prescrizioni post-terapia. Nel periodo di pandemia e lockdown questo canale di comunicazione diretto ed efficace si è interrotto.

Quanto è importante il rapporto tra medico e paziente in questo periodo particolare e quali consigli darebbe ai medici in questo senso?

Le indagini condotte sui pazienti a livello internazionale spesso ci confortano in quanto risulta che i pazienti italiani affetti da emopatie – oncologiche giudicano in maniera più che positiva il loro rapporto e il dialogo instaurato con il proprio medico specialista. Credo dunque che occorra accogliere questo aspetto positivo, ma occorre anche rammentare sempre ai medici che il tempo dedicato al paziente è “tempo di cura” e che un paziente rassicurato e ascoltato non solo aderisce meglio alle terapie, ma vive più serenamente il “distacco” e la distanza dal centro di cura. Il consiglio che si può dare è quello di non dimenticare che il rapporto che si instaura con il paziente è un rapporto sbilanciato, di totale affidamento da parte del paziente il quale, in un momento di maggiore isolamento, merita la giusta attenzione e la possibilità di contatto.

La telemedicina potrebbe essere una soluzione razionale per gestire questo momento di urgenza? Vede criticità in questo senso da parte dei pazienti?

L’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per migliorare la qualità della vita dei pazienti è un’opportunità da perseguire costantemente. Le frontiere dell’innovazione oggi spaziano dai tessuti utili a realizzare indumenti e accessori capaci di rilevare specifici parametri biometrici e di comunicarli automaticamente in rete, ai sistemi di intelligenza artificiale progettati per formulare diagnosi.

Al momento vi sono soluzioni e applicazioni che in un periodo di confinamento dei pazienti possono essere utili a realizzare una comunicazione diretta medico paziente altrimenti insussistente. Per rendere accessibili tali soluzioni a tutti i pazienti occorrono strategie nazionali di standardizzazione ed armonizzazione delle piattaforme applicative con l’organizzazione dei servizi del sistema sanitario nazionale ed occorrono investimenti mirati. A titolo esemplificativo l’utilizzo di un’applicazione già disponibile, quale quella del Fascicolo Sanitario Elettronico andrebbe incentivato e reso quasi “obbligatorio” da parte dei medici e dei pazienti.

Vi sarebbe un risparmio enorme di tempo per i pazienti, una semplificazione della mobilità e una maggiore sicurezza in situazioni di emergenza o di confinamento come quella determinata dalla pandemia. Nel caso specifico dei servizi di telemedicina, certamente strumenti quali la Televisita, il Teleconsulto, la Telecooperazione sanitaria ed altri analoghi diventano essenziali in situazioni di confinamento e pertanto sarebbe utile investire affinché possano rientrino nelle prestazioni standard del SSN sull’intero territorio nazionale.

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